Al Forte il calcio lo guardiamo spesso,
forse troppo.
Cerchiamo di farlo alla nostra maniera: ci divertiamo, lo dissacriamo e ci si cazzeggia molto sopra. Tifiamo Babù, Massimetto Pé Pé, e brussssciamo di passione con molta allegria e con le nostre personali follie.
Siamo folli, forse – questo sì – ma non idioti.
Sappiamo bene, tutte e tutti, che ogni domenica dietro alle nostre squadre e ai nostri strani riti ci sta lo schifo. (...)
Sullo sfondo, il contentino dei “giochi per il popolo”, affinché stia buono e non si lamenti troppo.
Sappiamo con disperazione che c’è chi si odia perché magari è di un’altra squadra. Così come sappiamo che il razzismo, molte volte, striscia sugli spalti degli stadi,
di quelle curve che amiamo chiamare nostre.
Sappiamo che i nostri campioni in mutande guadagneranno in un anno quanto nessuno di noi guadagnerà mai in tutta la vita…
chiedendo che questi soldi fossero e vengano spesi per altro che maestosi stadi nel bel mezzo del nulla. Chiedendo di non morire per doverli costruire in “tempi record” senza nessuna tutela, norma di sicurezza, rispetto del lavoro e delle emergenze sociali del paese.
Tutto questo con, sullo sfondo, il solito grande circo mediatico che già ha preso il via: che denuncia il prato imperfetto del primo campo di gioco della nazionale italiana,
senza raccontare la completa follia di tirare su uno stadio in mezzo all’Amazzonia. Lo spettacolo sta per ricominciare.